Le meduse appartengono al phylum Cnidaria, uno dei più antichi del regno animale, già presente nel periodo Cambriano (541 milioni di anni fa).
Come sappiamo, il sine qua non di tale gruppo è la presenza delle cnidocisti (o nematocisti), ovvero complesse strutture intracellulari capaci di secernere un mix di sostanze tossiche molte delle quali non ancora identificate. Tra queste, le più comuni sono polipeptidi, ammine biogene, purine, betaine ed altre molecole capaci di indurre effetti sull’uomo e su altri animali anche molto gravi, a volte mortali. Tra i più comuni effetti, ricordiamo quelli emolitici, dermato-necrotici, cardiotossici, nefrotici, reazioni di ipersensibilità di tipo I e di tipo IV. Molte di queste sostanze agiscono sui canali ionici del sodio e del potassio, mentre l’azione sui canali del calcio è controversa.
Tali veleni sono studiati da molti anni ma, nonostante questo, siamo ancora lontani dal conoscerli effettivamente bene e, per molti, non esistono antidoti. Gli specialisti che si occupano di meduse descrivono la loro materia con il termine di Terra Incognita, proprio per evidenziare la mancanza considerevole di conoscenze. Frazao et al. ( 2012 ), in un recente lavoro, hanno scritto: “Si suppone che il veleno delle meduse contenga un mix di almeno 100 sostanze; di queste, per ogni specie ne conosciamo poco più dell’1%”. Questo perché il veleno di tali organismi è spesso instabile, esiguo e di difficile estrazione.
Ancor più drammatica è la mancanza di conoscenze tra i medici che ogni estate soccorrono migliaia di turisti che, in vari contesti, hanno subito lo spiacevole incontro con un appartenente al phylum Cnidaria. Io stesso, più volte durante l’estate scorsa, ho avuto modo di vedere bagnanti “urticati” (passatemi il termine) dal classico pomodoro di mare (i cui effetti sulla cute sono facilmente riconoscibili rispetto ad altri animali simili) e vedere medici intervenire su tali persone in modo molto spesso approssimato o addirittura errato. Impressionante poi leggere certi consigli (per esempio su youtube o wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Chironex_fleckeri), dove si suggerisce di utilizzare aceto in caso di contatto con la pericolosissima Chironex fleckeri. In realtà, è un suggerimento solo parzialmente veritiero e anche incompleto e quindi inefficace, poiché si omette di seguire la procedura che è potenzialmente in grado di fare la differenza tra la vita e la morte, ovvero la rianimazione cardiopolmonare. Vero che lungo le spiagge dell’Australia sono ancora disponibili soluzioni veniger, ovvero a base di acido acetico, ma occorre ricordare che gli studi sugli effetti dell’acido acetico sono stati condotti in vitro; inoltre, studi recenti (Welfare, 2014), hanno evidenziato che le cnidocisti inibite dall’acido acetico sono quelle prive di veleno e che, in soluzione, la concentrazione dello stesso sembra aumentare quando si utilizza lo stesso acido acetico, per cui i dubbi sulla sua reale efficacia sono davvero troppi. Il trattamento principale rimane la rianimazione cardiopolmonare e la somministrazione, in ambiente controllato ospedaliero (con personale preparato ad intervenire in caso di eventuale shock anafilttico) di 3/6 fiale da 20.000 unità dell’antiveleno prodotto dalla CSL (per inciso, è consigliato in tutti quei casi in cui si manifestino instabilità cardiovascolare e arresto cardiaco), visibile nell’immagine sottostante.
CASISTICA
Molte molecole di alcune specie di meduse sono cardiotossiche e neurotossiche. Meyer (1993), descrisse tre casi unici tra il 1990 e il 1992, di tre giovani uomini colpiti da infarto durante semplici attività ricreative in acqua, lungo le coste della Carolina del nord. Il primo caso coinvolse un ragazzo di 15 anni che, dopo 45 minuti di nuoto, venne “punto” da una medusa non identificata. Il ragazzo cominciò dapprima a tossire, a piangere e a sudare abbondantemente e, in seguito, perse conoscenza. Venne trasportato urgentemente in ospedale dove venne sottoposto a tc cerebrale, analisi del sangue e del fluido cerebrospinale. Tutti gli accertamenti risultarono negativi. In seguito venne sottoposto ad analisi tossicologiche, sia da farmaci che da sostanze da abuso, le quali non evidenziarono assolutamente nulla. Venne poi sottoposto a RM (risonanza magnetica), la quale evidenziò uno spot ipertensivo a livello della regione pontina centrale. I medici decisero di intervenire riducendo chirurgicamente la pressione cerebrale a livello della zona interessata. Il ragazzo si salvò e rimase intellettualmente integro.
Il secondo caso, descritto dallo stesso Meyer, coinvolse un ragazzo di 13 anni intento a fare surf presso Topsail Beach. Il ragazzo scomparve dalla vista degli adulti per circa 30 minuti e venne ritrovato dal padre in uno stato di paralisi dal collo in giù. Il ragazzo venne sottoposto anch’esso agli esami di routine i quali non evidenziarono nulla, eccetto la RM (effettuata in un secondo momento presso una clinica universitaria dove il paziente venne trasferito), che permise di evidenziare un grande edema a livello midollare. Il ragazzo rimase ospedalizzato per ben 9 mesi e successivamente trasferito in un centro di riabilitazione respiratoria.
Il terzo caso coinvolse un adulto di 39 anni, nei pressi di Wrightsville Beach. Venne ritrovato in stato confusionale e in preda a forti vertigini. In seguito comparvero episodi di vomito ed infine perse conoscenza. Anche in questo caso tutti gli accertamenti risultarono negativi eccetto la RM che evidenziò un quadro di ischemia cerebrale diffusa, soprattutto nell’emisfero di sinistra. Quest’ultimo paziente, però, a differenza degli altri due, ricordò e descrisse la sua esperienza: “incontrai un animale simile ad un’alga, tuttavia si muoveva molto veloce; avvertii un pizzico, come quello inferto dalle chele di un granchio, ma non notai alcuna ferita e continuai come se nulla fosse”.
Questi tre casi sono stati descritti, come detto, da Mayer nel 1993, il quale coniò il termine di seastroke, e rientrano in quella casistica definita come unusual cnidaria envenomations. Per quanto rare, si tratta di intossicazioni molto pericolose, difficili da riconoscere e quindi da trattare. Le molecole neurotossiche determinano neuropatie centrali e periferiche attraverso tre meccanismi principali: meccanismo autoimmune, tossicità diretta e tossicità indiretta. Nel primo caso si manifestano disordini immunitari simili alla sindrome di Guillain-Barre o alle mononeuriti multiple; il secondo caso è relativo al danno diretto delle neurotossine a livello dei nervi circostanti la zona della puntura; il terzo caso riguarda il danno alle innervazioni a causa delle molecole coinvolte nel processo infiammatorio (mediatori come citochine, ecc.).
SINDROME GUILLAIN-BARRE E MONONEURITI MULTIPLE
La sindrome di Guillain-Barre è stata dettagliata da Pang and Schwartz (1993) che hanno illustrato il caso di un uomo di 39 anni che, intento a nuotare lungo le coste di Maiorca, venne a contatto con una medusa che la stessa vittima descrisse come “grande quanto il palmo della mano e di un colore rosso traslucido”. Dieci giorni dopo la vittima lamentava torpore agli arti e dopo due mesi le sue condizioni si aggravarono. La diagnosi fu quella di una neuropatia demielinizzante. Devere (2011), descrisse un caso simile che coinvolse una donna di 66 anni, la quale venne a contatto con una medusa non identificata nelle acque di Charleston, South Carolina. I primi sintomi comparvero dopo 24 ore e dopo 2 mesi la diagnosi era quella di polineuropatia demielinizzante.
Un caso di mononeurite multipla (malattia che comporta danni al cervello e al sistema nervoso in almeno due aree anatomiche separate), fu descritto da Filling-Katz nel 1984; un ragazzo di 25 anni stava nuotando nelle acque antistante Norfolk, Virginia. In quel periodo era in atto un bloom di meduse dei generi Physalia e Cyanea. Non è nota la specie con cui il ragazzo venne a contatto, di fatto sviluppò subito una zona eritematosa molto vasta e, la mattina seguente, comparvero sintomi quali mialgia, vomito, nausea e torpore agli arti superiori che richiesero ricovero immediato. L’elettromiografia evidenziò denervazione all’ulna e al radio di entrambe le braccia che, fortunatamente, migliorò alcuni mesi dopo.
Casi simili furono descritti anche negli anni successivi. Burnett et al. (1994) descrissero il caso di un fotografo subacqueo che inavvertitamente venne a contatto con alcuni esacoralli sessili dell’ordine Corallimorpharia. L’autore descrisse lesioni papulo-eritematose alla gamba e al gomito sinistro della vittima, la quale manifestò parestesia per sei settimane circa, dalla data del ricovero. Un altro caso coinvolse una ragazza di 20 anni, che venne a contatto con una specie di medusa non identificata. Tra i vari sintomi, simili al caso precedente, quelli più gravi, con parestesia dei muscoli flessori della mano e della gamba destra, i quali persistettero per ben cinque settimane. Un caso molto interessante, simile ai precedenti, fu quello descritto da Moats (1992); in questo caso venne infatti identificato il genere Millepora quale responsabile dei sintomi a carico di una donna di 52 anni.
NEUROPATIE ACUTE PERIFERICHE
Le neuropatie acute periferiche (colpiscono esclusivamente il sistema nervoso periferico), sono state descritte da Peel & Kandler (1990) e da Laing & Harrison (1991).
Peel & Kandler descrissero il caso di una ragazza di 18 anni che stava nuotando nelle acque di Penang (Malesia occidentale). In seguito al contato con una specie non identificata, la ragazza sviluppò immediatamente un esteso rush all’avambraccio sinistro. Nei tre giorni successivi perse quasi completamente la sensibilità e la capacità di movimento alle dita della mano sinistra. La ragazza si riprese solo 10 mesi dopo l’evento, con recupero totale dei movimenti e recupero parziale della sensibilità alle dita.
Laing & Harrison descrissero invece il caso di un ragazzo di 21 anni in vacanza in Thailandia, che venne a contatto con la temibile cubomedusa C. fleckeri. Il soggetto venne “punto” alla schiena e al braccio destro, manifestò subito edema e respiro ansimante. Ricoverato presso il locale ospedale, venne sottoposto alla consueta profilassi e si rimise dopo alcuni giorni. Unico problema, il movimento del braccio destro; il nervo ulnare risultava paralizzato causa esteso edema, con estesa ischemia del muscolo adiacente. Probabilmente il nervo venne danneggiato dall’azione tossica del veleno delle cnidocisti di C .fleckeri; è noto, infatti, che il veleno causa, localmente, degli spasmi vascolari e quindi ischemie secondarie.
La letteratura dedicata a tale argomento è ancora insufficiente per formulare ipotesi complete e, di fatto, è fondamentale poter identificare correttamente le specie coinvolte e soprattutto studiare i meccanismi molecolari neurotossici coinvolti,allo scopo di salvare le vittime o quanto meno, poter intervenire per limitare eventuali danni permanenti. Torneremo sull’argomento in uno dei prossimi articoli.