Le cronache ci dicono che una grossa femmina di squalo tigre ha aggredito a Isla Coco (punto di immersione Manuelita) una turista americana, che è morta dopo essere stata issata a bordo della barca appoggio in seguito alle ferite riportate. Il divemaster che l’ha soccorsa ha riportato ferite a sua volta, guaribili.
Adesso ci aspettiamo un nuovo fiorire di storie sullo squalo assassino. Scubaportal vi vuole offrire la notizia con un commento illustre: un’intervista a Fabrizio Gioelli, esperto di interazioni tra uomo e squalo.
Fabrizio è l’unico istruttore italiano della SharkSchool, centro di ricerca e formazione sugli squali fondato e diretto dal dr. Erich Ritter. Fabrizio, convinto sostenitore della conservazione degli squali e subacqueo da oltre un ventennio, eroga corsi sull’interazione uomo-squalo dedicati a subacquei, apneisti o semplici appassionati, avvalendosi dell’esperienza trentennale del dr. Ritter sia in questo campo, sia in quello della ricostruzione degli incidenti con gli squali. A febbraio 2018 andrà ad incontrare, con un gruppo di subacquei, gli squali martello maggiore e tigre nelle acque di Bimini e delle Bahamas.
- Fabrizio, un attacco mortale dello squalo a un umano è raro, ancora più raro l’attacco a un subacqueo. In che situazione noi subacquei dobbiamo stare particolarmente attenti?
Un incidente con uno squalo (non amo molto il termine “attacco”, sebbene sia quello più largamente impiegato) è decisamente un evento eccezionale, mentre uno mortale lo è ancora di più. Indicativamente solo un caso su dieci porta alla morte della vittima. Questa prima considerazione dovrebbe già farci riflettere sulle reali intenzioni di questi animali quando mordono: se gradissero averci come portata principale del loro pasto, le percentuali di decessi si avvicinerebbero drammaticamente al cento per cento. Sono perfettamente d’accordo con te quando sottolinei come i subacquei siano un gruppo particolarmente poco considerato. I motivi sono molteplici: da un lato la rappresentatività della categoria (per quanto l’industria della subacquea sia in espansione, siamo di certo molti meno rispetto a snorkelisti, nuotatori o semplici bagnanti), dall’altra il tipo di attività che svolgiamo. Ci troviamo completamente immersi in acqua e per questo motivo non produciamo suoni particolarmente attrattivi per gli squali. Non sto dicendo che siamo silenziosi (chiunque abbia respirato da una bombola sa benissimo come le bolle facciano un baccano infernale), ma solo che il tipo di suoni che produciamo non sortiscono lo stesso effetto di una gamba, di una pinna o di un braccio che colpiscono la superficie dell’acqua. Analogamente, il principale motivo per il quale i surfisti vengono morsi è da ricercarsi nei suoni prodotti dalle tavole che sbattono sulla superficie e non nella loro silhouette che, come vuole la leggenda, richiamando agli occhi dello squalo quella di una foca lo induce a mordere. Questa teoria, tanto perché si sappia, è stata definitivamente confutata.
Venendo al nocciolo della tua domanda: sì ci sono effettivamente delle situazioni alle quali dobbiamo fare particolare attenzione. Una di queste è la risalita, ma soprattutto i minuti di attesa in superficie, quando stiamo per uscire dall’acqua. Nella situazione specifica non abbiamo il controllo della situazione e, soprattutto, non vediamo cosa succede sotto di noi. Inoltre, bombola e GAV – specialmente se c’è un po’ di onda – a contatto con l’acqua fanno rumore e questo fa sì che gli squali possano avvicinarsi di più a dare un’occhiata. Il suggerimento, quindi, è quello di attendere il proprio turno leggermente sotto la superficie o di tenere la maschera indossata e guardare quello che accade sotto di noi. Gli squali, infatti, percepiscono il nostro campo visivo (come peraltro molti altri animali) e, “sentendosi osservati”, spesso mantengono le distanze. Ci sono delle pubblicazioni scientifiche che hanno dimostrato che la loro direzione di approccio avviene nella maggior parte dei casi da dietro o, comunque, da punti al di fuori del nostro campo visivo. Questo significa che, anche quando siamo sott’acqua, è bene annullare gli angoli ciechi dando sempre un’occhiata alle nostre spalle o accordandoci con il nostro compagno di immersione affinché lo faccia lui. Noi, ovviamente, ricambieremo il favore. In questo modo ci si può avvisare a vicenda dell’eventuale presenza di un animale curioso. Analogamente, contrariamente a quanto viene talvolta suggerito nei briefing che precedono una shark dive, è bene procedere alla risalita non in posizione schiena/schiena, ma faccia a faccia. È molto più comodo ed efficace.
Una cosa certamente da evitare quando siamo in superficie sono gli eccessivi movimenti delle mani e delle gambe. Spesso si vedono subacquei che per mantenersi a galla e in posizione tendono a praticare il nuoto da galleggiamento, muovendosi molto. Questo non va bene. Controlliamo sempre la pesata, in modo tale da poter rimanere perfettamente a galla gonfiando il GAV ed evitando di annaspare in superficie. Ma questa dovrebbe essere una regola generale, a prescindere dalla presenza o meno di uno squalo. Infine, proprio per evitare di attardarci troppo in superficie, è bene riemergere il più vicino possibile alla barca. Nuotiamo in direzione della barca mentre ci troviamo ancora sott’acqua e, quando siamo sulla verticale della scaletta, risaliamo. Viceversa ci troviamo a dover percorrere molta strada in superficie, il che non è particolarmente consigliabile.
- Un grosso squalo offre dei segnali che sta per attaccare o attacca improvvisamente senza preavviso?
Dipende. Se la sua intenzione è quella di “verificare” che cosa sia lo strano oggetto che gli si para di fronte, di norma morde e noi non lo vediamo nemmeno arrivare. La cosa positiva è che questo tipo di morsi “investigativi” sono piuttosto leggeri, in quanto lo scopo ultimo dello squalo è capire la consistenza dell’oggetto (nella fattispecie il subacqueo). Al contrario, se l’intento dello squalo è quello di “farci male”, significa che abbiamo sbagliato qualcosa e che lo stiamo infastidendo. La “buona” notizia è che, di norma, ci avvisa prima. I segnali possono essere svariati: da un nuoto erratico piuttosto nervoso e a “scatti”, all’inarcamento del dorso, all’abbassamento delle pinne pettorali, fino ad arrivare a spalancare la bocca di fronte a noi. Purtroppo, gli stessi “segnali” possono essere facilmente travisati e ci vuole un po’ di esperienza ed occhio clinico per riconoscerli. Tanto per fare un esempio, il profilo di nuoto “nervoso”, piuttosto che l’inarcamento del dorso possono essere indotti da fattori (ad esempio le remore) che esulano completamente dalla nostra presenza in acqua. L’abbassamento delle pinne pettorali può essere dovuto al fatto che lo squalo deve cambiare direzione in spazi stretti, oppure le aperture della bocca possono essere legate a necessità fisiologiche dello squalo (che deve riposizionare la mascella nella giusta sede). Insomma, non è una materia semplice da affrontare. Questo dovrebbe far comprendere quanto sia importante la preparazione teorica del subacqueo che si appresti ad incontrare uno squalo. Purtroppo i briefing pre immersione non sono sufficienti ad apprendere le nozioni di base. Ammesso e non concesso che le informazioni che ci vengono fornite siano effettivamente corrette.
- Cosa intendi per informazioni corrette?
Diciamo che l’informazione corretta è quella che evita di metterti in una brutta situazione. Nel tempo mi è capitato di ascoltare personalmente, o che mi venissero riferiti, briefing contenenti linee guida piuttosto carenti, se non addirittura pericolose. Una su tutte riguarda il come “respingere uno squalo” fastidioso. Spesso ho sentito parlare di “colpirlo sul muso” utilizzando la torcia, piuttosto che la macchina fotografica. Diciamo che è un modo perfetto per farsi mordere. La verità è che non ce n’è alcun bisogno. Il segreto sta nel comunicare con l’animale in una lingua che conosce bene. È un discorso un po’ lungo, ma una semplice spinta è sufficiente ad allontanarlo. Gli squali tra loro si urtano e spingono in continuazione, quindi così facendo gli “parliamo” in una lingua che conoscono. Capisco che possa sembrare improbabile l’idea di spingere via uno squalo tigre di tre o quattro metri, ma posso garantirti che funziona e che lui capisce il messaggio senza “offendersi”. Se proprio ci sentiamo in pericolo, allora le branchie devono essere il nostro target. E’ sufficiente un tocco della mano per passare il messaggio, non è necessario essere “brutali”.
- Quindi, fammi capire, dici che è meglio non usare torce o macchine fotografiche per allontanarlo?
Si possono certamente usare per tenerlo a distanza, ma non per percuoterlo. La prima azione è utile ad evitare che l’animale si avvicini, la seconda è molto probabile che lo faccia irritare. Il concetto è che una macchina fotografica o una videocamera scafandrata (non sto ovviamente parlando di macchinette compatte) va benissimo per porre qualcosa tra sé e lo squalo. Alla peggio gli darà un colpo col muso o un morsetto, anche se talvolta proverà a portarsela via. Se ciò dovesse accadere, meglio lasciargliela e poi recuperarla in un secondo momento, profondità permettendo. Viceversa voi, la macchina fotografica e lo squalo partirete tutti e tre appassionatamente per un viaggio alla scoperta degli abissi. Non per niente è sconsigliato assicurarsi la macchina fotografica al polso o al GAV quando si fanno immersioni con squali di una certa dimensione: se lo squalo la afferra e si mette a tirare e voi non riuscite a sganciarvi… beh, buon viaggio…
- La mia sensazione è che noi passiamo da un eccesso a quello opposto senza mezzi termini. Lo squalo è dipinto alternativamente come un assassino spietato (non è vero) o come un cucciolo da accarezzare e coccolare (e nemmeno questo è vero). La mia opinione è che un predatore debba sempre essere considerato con rispetto. Il gatto di casa un attimo prima si rotola mostrando la pancia, un attimo dopo ci scarnifica la mano che ha osato toccarlo! Penso che nel rapportarci a un predatore grosso, che può farci molto male, dobbiamo portargli il rispetto che merita e pensare sempre che il suo cervello di predatore funziona diversamente dal nostro. Qual è la tua opinione?
Concordo al cento per cento. Tu hai citato il gatto, che ci azzecca perfettamente in questo discorso, trattandosi – nel suo piccolo – di un predatore imprevedibile. Non dobbiamo mai dimenticare che, parlando di predatori, ci muoviamo su un terreno minato: possiamo fare affidamento su schemi comportamentali di larga massima, ma ogni individuo è unico, così come ogni situazione è unica. Gli incidenti quando capitano sono sempre il risultato di una costellazione di fattori che includono l’ambiente, la nostra attività, l’attività di terzi e, ovviamente, lo squalo con il proprio carattere e umore del momento.
Immergersi con gli squali – e specialmente con alcuni squali, tra cui il tigre – non è un’attività da prendere alla leggera. Il fatto che siano migliaia i subacquei che lo fanno ogni anno in ogni parte del mondo, e che gli incidenti si contino sulle dita di una mano, non significa che si debba scendere in acqua con lo stesso atteggiamento di chi si appresta ad incontrare un banco di salpe. Gli squali sono predatori estremamente efficaci e letali e, come tali, vanno avvicinati con cautela, preparazione e, soprattutto, tanto buonsenso. Non dimentichiamo mai che siamo a casa loro e che, se è vero che sulla terraferma siamo all’apice della catena alimentare (almeno quasi sempre), in mare chi comanda non siamo di certo noi.
Dacci un consiglio, come è opportuno comportarsi davanti a un grosso squalo, come uno squalo tigre, potenzialmente aggressivo, per godere dell’incontro limitando al massimo il pericolo?
Una situazione alla quale porre estrema attenzione è l’eccessiva confidenza. Può capitare, infatti, che uno squalo si manifesti all’improvviso e che il gruppo, in preda all’entusiasmo, tenda ad avvicinarsi troppo e a “chiuderlo” in spazi stretti. Questo si verifica con maggiore facilità se siamo in prossimità della superficie, del fondale o del reef che rappresentano per l’animale degli ostacoli naturali (nessuno squalo salterà fuori dall’acqua o si metterà a scavare il fondale per levarsi dagli impicci). Ciò che può accadere è che l’esemplare, sentendosi braccato, reagisca male. Quindi, lasciamogli sempre spazio per muoversi, specialmente quando l’ambiente delimita di per sé stesso le vie di fuga dell’animale. Sempre parlando di confidenza, non basatevi mai sulla specie che avete di fronte. Un innocuo nutrice, se infastidito (i nutrice non sono dei pupazzi da mettere in posa per un selfie), può farvi molto male.
Al di là di queste considerazioni piuttosto ovvie, ci sono alcune regole fondamentali da seguire quando ci troviamo nelle vicinanze di uno squalo palesemente incuriosito dalla nostra presenza. La prima cosa da fare è assumere una posizione verticale: è una posizione che loro non conoscono, dal momento che nessuna delle loro prede abituali sta in verticale in acqua. Di conseguenza, questo semplice accorgimento fa capire loro che non apparteniamo a quella categoria. In seconda battuta, stando verticali possiamo facilmente ruotare a 360° mantenendo lo squalo nel nostro campo visivo ed annullare gli angoli ciechi. Da questo punto di vista, è fondamentale la collaborazione del gruppo. La presenza di uno squalo nelle vicinanze, piccolo o grande che sia, va sempre segnalata.
Nel caso l’animale ci approcci frontalmente, MAI e dico MAI indietreggiare. Solo le prede lo fanno e, a parte questo concetto intuitivo, spostando acqua con le pinne non facciamo altro che creare delle onde di pressione che inducono lo squalo ad avvicinarsi ancora di più. Gambe e braccia vanno tenute ferme, anche se la vostra testa ed il vostro istinto vi dicono di fare il contrario. Per chi non è abituato a questo tipo di incontri non è semplicissimo mantenere la posizione, ma è la cosa migliore da fare.
Infine, nel malaugurato caso che una persona venga morsa (evento che è molto più che improbabile, visto che ogni giorno migliaia di squali e subacquei si incontrano pacificamente), è fondamentale adottare il comportamento corretto: mai allontanare immediatamente la vittima dallo squalo nel tentativo di farla uscire dall’acqua. Ci vuole sangue freddo e capacità di andare contro al proprio istinto, comprendendo che il tentativo di rimuovere la persona ferita dall’acqua può scatenare nello squalo una reazione di “reclamo della preda”. Il rischio è di provocare un secondo morso, dal momento che l’animale vorrà tenere la persona sott’acqua con lui. Quindi, come fare? Si deve ragionare al contrario e cioè: allontanare lo squalo dalla vittima e non il viceversa. Solo quando l’animale si allontana si può procedere a trasportare la persona verso la barca o a riva.
Ma questo non fa perdere tempo prezioso ai soccorsi?
Purtroppo sì, ma l’alternativa è il rischio di aggravare le ferite con un secondo o un terzo morso. Quando si legge di bagnanti morsi più volte, e si indaga a fondo, si scopre che nella maggior parte dei casi i soccorritori hanno tentato di estrarre la vittima dall’acqua ingaggiando una specie di tiro alla fune con lo squalo. Quindi frapporsi tra la vittima e lo squalo è la prima cosa, dopodiché attendere che si allontani, procedere al trasporto, fermarsi quando lo squalo si avvicina nuovamente e così via. Capisco sia facile a parole, ma un po’ meno nei fatti, ma questo è il comportamento corretto da adottare in caso di incidente. D’altra parte, immaginate di portar via un osso ad un cane e capirete facilmente di cosa sto parlando.
- In sintesi, ritieni sia sicuro fare immersioni con gli squali? Non c’è il rischio di alimentare situazioni come quelle di Coco?
Personalmente ritengo che fare immersioni con gli squali non sia più pericoloso di altre attività quali il paracadutismo, il motociclismo o l’immersione tecnica, dove l’imprevisto (toccando ferro) è sempre dietro l’angolo. Viceversa di notizie come quella di Coco ne arriverebbero tutti i giorni. Allo stesso tempo, nessuno vi firmerà mai un documento nel quale vi garantisce che tutto filerà liscio, perché questi animali sono imprevedibili, così come è imprevedibile il comportamento del singolo subacqueo di fronte ad uno squalo. Tuttavia, ritengo che alcune condizioni siano imprescindibili. La prima cosa è la scelta dell’operatore al quale affidarsi per immersioni di questo tipo. Molti sono fidati, altri rischiano di essere un po’ improvvisati. Lo scambio di esperienze tra subacquei è un buon mezzo per capire il livello di affidabilità e preparazione dell’operatore al quale ci si affida. La seconda condizione è avere consapevolezza delle proprie paure e di propri limiti. Se si ha paura degli squali, meglio continuare a guardarli in televisione: una volta che si è là sotto con loro, è meglio sapere di poter gestire la situazione da un punto di vista emotivo. Allo stesso tempo, l’eccessiva confidenza non è una buona compagna di avventura. Insomma, come in tutte le cose la parola d’ordine è “equilibrio”. Ultimo aspetto, ma uno dei più importanti: la formazione personale. L’apprendimento delle tecniche di base di immersione con gli squali e dei loro schemi comportamentali è fondamentale per vivere questa esperienza in modo consapevole e in sicurezza. Più nozioni si posseggono, più si comprendono le situazioni, l’influenza dell’ambiente e i comportamenti (talvolta bizzarri e divertenti) di questi animali. Solo la preparazione ci permette di agire e/o reagire nel modo corretto.
Bibliografia: Massimo Boyer – scubaportal.it