Un interessante studio sugli squali mediterranei ha evidenziato come le conoscenze di dati storici possono fornire informazioni importanti per comprendere come le loro popolazioni sono cambiate nel tempo.
Lo studio fornisce una chiara comprensione dei cambiamenti nella distribuzione e nell’abbondanza di otto specie di squali nei mari italiani, attualmente classificate a rischio di estinzione dalla Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). La comparazione è stata effettuta attraverso un’analisi storica dei dati storici dal XIX secolo alla prima metà del XX secolo delle delle specie selezionate. Come vedremo, i risultati mostrano che tutti gli squali erano considerati comuni fino all’inizio del XX secolo, ma da allora sono diminuiti, con una chiara tendenza negativa, principalmente negli ultimi 70 anni.
Il forte declino locale è stato attribuito a molteplici cause: dallo sfruttamento eccessivo, alle catture accidentali, alla distruzione o alienazione degli habitat, fino all’esaurimento delle prede ed all’inquinamento ambientale.
I Condritti
I Condritti o pesci cartilaginei fanno parte di uno dei taxa marini più minacciati al mondo e le sue specie sono altamente suscettibili alla pressione antropica, sia in ambienti costieri che in alto mare. In particolare, il principale fattore che colpisce questi organismi è la cattura accidentale. Il problema, secondo gli autori, è che la valutazione e gestione delle loro popolazioni è complessa a causa della natura limitata delle informazioni sulla loro biologia e pesca.
L’assenza di informazioni storiche sulla popolazione di pesci cartilaginei rende anche facile cadere abbastanza nella “sindrome da spostamento della linea di base”, in cui si presume che le condizioni attuali delle risorse siano lo standard, senza tenere conto della loro storia di sfruttamento. Questa carenza di dati è evidenziata anche nella Lista delle specie minacciate (Lista Rossa) dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) che rappresenta una risorsa completa sullo stato globale della biodiversità e, negli ultimi decenni, è diventata uno strumento importante per la conservazione, elaborazione delle politiche e la gestione delle biodiversità.
Secondo la IUCN, il Mar Mediterraneo è una delle tre aree al mondo in cui la biodiversità degli squali e delle razze è più seriamente minacciata, con oltre il 40% delle specie condritiche valutate “in pericolo” (EN) o ” in pericolo di estinzione ” (CR).
Sebbene il Mar Mediterraneo rappresenti un punto caldo della biodiversità, presenta anche limiti geopolitici rilevanti per lo sviluppo di strategie comuni ed efficaci di gestione e conservazione delle risorse della pesca e del patrimonio naturale. In questo senso, la penisola italiana è il cuore del bacino essenso posta sul confine naturale tra il settore occidentale e quello orientale e comprendente sia il settore settentrionale che quello meridionale, fungendo da “riferimento naturale” dello stato generale.
Ecologia storica
L’ecologia storica si è sviluppata come approccio di ricerca organizzato nella metà del ventesimo secolo ed è fortemente collegata con la storia ambientale, l’antropologia ecologica, la geografia storica e la paleoecologia, con ricercatori di tutte le discipline che contribuiscono alla comprensione dei cambiamenti legati alle attività dell’Uomo.
Questo approccio scientifico interdisciplinare è stato recentemente applicato anche all’ambiente marino, concentrandosi in particolare sulle risorse ittiche. Da questo punto di vista i cambiamenti storici nel suo regno marino sono meno ben compresi e, in particolare, la ricerca storica sui pesci cartilaginei rimane molto limitata e frammentata. Lo studio citato fornisce nuove informazioni storiche scientifiche degli ultimi 250 anni riguardanti le specie di squali più minacciate, al fine di contribuire a una più chiara comprensione della loro distribuzione prima della moderna età della pesca, e dello status di questi squali lungo la penisola italiana, un’area chiave per comprendere la biodiversità marina del Mediterraneo.
Riassumiamo in breve lo studio, che merita comunque un’attenta lettura. Gli autori (Angelo Mojetta et alii) hanno selezionato dieci specie di squali in base al loro rischio di estinzione dai mari italiani secondo la Lista Rossa IUCN dei pesci cartilaginei nelle acque italiane, sulla base del loro pericolo critico (CR), in pericolo di estinzione (EN) e vulnerabilità (VU).
Dall’analisi dei documenti storici sono stati ritrovati riferimenti bibliografici scientifici su otto delle dieci specie di squali selezionate, con un intervallo temporale dal 1832 al 1962.
Risultati
Secondo le fonti storiche lo spinarolo, Squalus acanthias, era considerato molto comune nelle acque italiane fino all’inizio del XX secolo, dopodiché questa specie ha iniziato a diminuire rapidamente e, negli ultimi 60 anni, è divenuto estremamente raro lungo la penisola italiana, analogamente ad altri settori marittimi come il Pacifico nord-orientale e nell’Oceano Atlantico. Questa riduzione a livello mondiale è stata causata dallo sfruttamento eccessivo, nonché dal degrado e dalla perdita degli habitat dovuti allo sviluppo costiero e all’inquinamento. In alcuni paesi, la pesca dello spinarolo è stata gestita con successo, come nelle acque statunitensi dove nel 2010 si riteneva che gli stock locali fossero stati ricostruiti. Iniziative simili possono essere sviluppate anche a livello italiano.
Per quanto riguarda gli squali angelo del genere Squatina, le ricerche storiche hanno confermato che, nonostante la loro presenza regolare fino ai primi del ‘900, si osserva una quasi totale scomparsa nelle acque italiane ma che vengono ancora rilevati lungo le coste africane e del Medio Oriente, nel Mar Egeo e nelle acque turche. Dalla studio emerge che le rarissime registrazioni moderne di squali angelo sono state segnalate solo nelle regioni meridionali, mentre nelle regioni settentrionali questi elasmobranchi sono ormai scomparsi. Gli squali angelo del Mediterraneo abitano comunemente i fondali molli delle zone costiere molto basse, dove sono altamente suscettibili alle reti da traino e alle reti da imbrocco, nonché al degrado dell’habitat dovuto alla intensa attività umana nelle zone costiere. Oggi sono valutate molto rare nei mari italiani e sono classificate in pericolo di estinzione (CR)
Lo squalo volpe, è un tipico squalo pelagico, che vive in un ambiente marino al largo, ed è raramente osservato vicino alla costa. Nel Mediterraneo, questa specie può essere catturata come cattura accessoria nella pesca pelagica, principalmente da pescherecci con palangari, ma anche durante le operazioni di pesca a strascico in coppia, nonché nella pesca ricreativa in mare aperto. Nelle acque italiane, il raro rilevamento di squali volpe dal XIX secolo alla fine della seconda guerra mondiale può essere correlato alla scarsa possibilità di osservare questa specie di alto mare nelle tipiche operazioni di pesca costiera. In Italia, in particolare, fino all’inizio del XX secolo, la pesca era praticata principalmente a ridosso della costa da imbarcazioni a vela o a remi, mentre i pescherecci a motore erano estremamente rari. Dopo la seconda guerra mondiale, la flotta peschereccia italiana ha subito un cambiamento tecnologico che ha causato un rapido aumento ed espansione delle aree di pesca anche all’altura. Lo sfruttamento degli ambienti pelagici già dagli anni ’50 potrebbe essere collegato alla maggiore frequenza di cattura dello squalo volpe riportata nella letteratura scientifica. Inoltre, lo sovrasfruttamento delle risorse marine pelagiche, inclusi i pesci medi e piccoli, come sgombri, acciughe e sardine, ha ridotto la disponibilità di cibo per questo splendido squalo. Negli ultimi anni lo squalo volpe è stato registrato raramente ed è ora elencato in pericolo di estinzione (CR)
Una analoga valutazione può essere fatta per il palombo, altra specie molto sensibile alla pressione di pesca nelle acque italiane che dimostra il collasso di questi squali principalmente negli ultimi decenni attribuito principalmente all’impatto della pressione di pesca diretta, sebbene sia anche possibile correlarlo al sovrasfruttamento delle sue prede più comuni. Negli ultimi 70 anni, ambedue le specie sono diventate rare e elencate come in pericolo (EN)
Passando alla verdesca questa è una delle specie di squali più diffuse, presente in tutti gli oceani. Nonostante trascorra la maggior parte della sua vita in ambienti pelagici, questa specie si può trovare anche nelle acque costiere. Lo studio evidenzia che l’andamento storico sulla presenza di squalo azzurro nelle acque italiane è molto simile a quello dello squalo volpe. Entrambe le specie offrono infatti una moderata resilienza alla pressione di pesca. Tuttavia, può anche essere correlato al degrado degli ambienti marini, poiché studi recenti hanno dimostrato che questi squali sono fortemente minacciati dalla presenza di inquinamento chimico e di detriti di plastica. Negli ultimi 70 anni questa specie è stata considerata rara ed è stata classificata come vulnerabile (VU)
Lo squalo galeo, noto anche come cagnesca, è una specie bento-pelagica che mostra una distribuzione prevalentemente costiera, essendo presente sulla piattaforma continentale e sui versanti superiori, mentre si trova anche al largo per le sue estese migrazioni. Dall’inizio del XIX secolo fino ai primi decenni del XX secolo, quando lo sforzo di pesca italiano si concentrò sulla costa, questa specie era considerata piuttosto comune. Il suo netto declino iniziò alla fine della seconda guerra mondiale, probabilmente indotto dall’espansione della pesca commerciale e dal progresso delle tecnologie di pesca nelle acque italiane, con conseguente maggiore pressione di pesca su questa specie. Le fonti sono concordi che il suo declino negli ultimi 70 anni lo abbia localmente estinto nel Mar Tirreno ed è raramente catturato nello Stretto di Sicilia. E’ attualmente classificato come in pericolo critico (CR) nelle acque italiane
In sintesi, lo studio afferma che la conoscenza storica può migliorare la conservazione attuale su queste specie di squali in quanto i dati storici forniscono informazioni essenziali per comprendere meglio gli effetti antropici sugli ecosistemi marini e sviluppare piani di gestione e conservazione per ridurre l’attuale impatto sui condritti. Ciò può essere ottenuto mediante una pesca più consapevole, attuata tramite buone pratiche di pesca, il rilascio di esemplari ancora vivi catturati accidentalmente e riducendo l’inquinamento.
Uno studio interessante non solo per i biologi marini che, per la sua completezza, invito a leggere in originale.
Bibliografia: ocean4future.org