Un evento che è passato alla storia
Il disastro del Titanic è una delle storie del mare più conosciute. Sprofondato negli abissi dell’Atlantico centosette anni fa, il suo relitto sta definitivamente andando in pezzi negli abissi del mare. Quello che fu considerato il piroscafo invincibile è stato recentemente rivisitato dopo quattordici anni da un team di esploratori oceanici che hanno confermato che quegli spettrali resti continuano purtroppo a disintegrarsi rapidamente.
Il Titanic trasportava 2.224 tra passeggeri e membri dell’equipaggio nel suo viaggio inaugurale da Southampton, Inghilterra, a New York. La nave urtò un iceberg nella tarda notte del 14 aprile 1912 e dopo una lunga agonia affondò la mattina successiva. Nel terribile incidente persero la vita oltre 1.514 persone, per lo più morti per ipotermia nelle gelide acque. La quasi totalità dei 706 superstiti avevano preso posto sulle lance, mentre pochissimi furono i superstiti che si trovavano a bordo del Titanic nella fase finale del naufragio. Un disastro che avrebbe potuto avere un esito diverso se la nave fosse stata dotata di un numero maggiore di scialuppe. La ricerca delle responsabilità durò a lungo, ed oggi tutti sono concordi nell’affermare che il disastro avrebbe potuto avere conseguenze minori se la qualità dell’acciaio delle lastre costruttive fosse stata migliore. Quindi, è più probabile che l’impatto con l’iceberg abbia deformato le piastre stesse facendo saltare i rivetti in ferro (come tappi di spumante), rendendole non più in grado di garantire la tenuta stagna dello scafo.
La ricerca del relitto
I rilievi batimetrici, già nel 1912, indicavano una profondità oceanica di 3 800 metri nella zona del naufragio, troppo grande per la tecnologia dell’epoca. Oggi conosciamo la sua vera posizione stabilita da Ballard. Di fatto nessun tentativo fu compiuto fino al 1 settembre 1985, quando una spedizione congiunta franco-americana, condotta da Jean-Louis Michel e Robert Ballard del Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI), localizzò il relitto. poi identificato da veicoli filoguidati come l’Argo e l’ANGUS.
L’anno successivo Ballard fotografò l’intero relitto con l’ausilio del sommergibile Alvin, a 22 km di distanza dal luogo dove si supponeva si trovasse, a circa 486 miglia dall’isola di Terranova, ad una profondità di 3 787 metri, adagiato su un fondale fangoso, ai piedi della scarpata continentale nordamericana, sulla piana abissale.
La scoperta forse più interessante fu che la nave si era spaccata in due tronconi, con la sezione di poppa situata a 600 metri di distanza dalla prua e rivolta in direzione opposta. Un fatto nuovo in quanto le testimonianze dell’affondamento dicevano che la nave si era inabissata intatta. Secondo i disegni riportati da Ballard, è probabile che la rottura si verificò poco sotto il livello dell’acqua, facendo così intuire l’avvenuta rottura.
Si stabilì che la prua si inabissò con un angolo di discesa accentuato, arando il fondale marino dopo il distacco dalla poppa, infangandosi per circa 18 metri. La poppa, invece, si disintegrò a causa dell’aria contenuta al momento dell’immersione, che scardinò scafo e ponti. L’urto con il fondale fece il resto. I tronconi della nave si inabissarono a gran velocità, e probabilmente raggiunsero il fondale dopo soli 5 minuti. I tentativi di recupero dei manufatti della nave portarono alla luce tante storie di vita vissuta ma anche una scoperta inaspettata. Lo scafo del Titanic non si presentava in buone condizioni, nonostante le basse temperature (l’acqua a quella profondità ha una temperatura di 4 °C), l’assenza di luce, le correnti di fondo e la scarsità d’ossigeno disciolto nell’acqua.
Diversi scienziati, tra cui Robert Ballard, ritennero che le visite al relitto stavano accelerando il processo di degrado e microrganismi marini stavano progressivamente consumando il relitto. Tra questi microbi c’è una specie unica di batteri che corrodono la ruggine chiamata Halomonas titanicae.
L’Halomonas titanicae fu scoperto nel dicembre 2010 da Henrietta Mann e Bhavleen Kaur, della Dalhousie University di Halifax (Canada) e da Cristina Sánchez-Porro e Antonio Ventosa dell’Università di Siviglia (Spagna) a seguito di analisi effettuate su reperti prelevati dal Titanic: i responsabili delle formazioni rugginose fotografate da Ballard, tecnicamente chiamate rusticles, causano il rapido degrado dello scafo della nave trasformando il ferro in ossidi ferrosi. La rivelazione dei ricercatori di Vescovo non è inaspettata. Già nel 2010 Henrietta Mann predisse che questi batteri potevano divorare l’intero relitto del Titanic nei prossimi venti anni.
L’ultima esplorazione del relitto è stata guidata da Victor Vescovo, un esploratore abissale che è recentemente sceso sul fondo della Fossa delle Marianne (e avervi trovato purtroppo in abbondanza micro e macro plastiche).
Il team di Vescovo è sceso a 3.810 metri nei pressi del sito del relitto effettuando una serie di cinque immersioni. Le immagini rilasciate sono decisamente spettrali ed hanno mostrato come il famoso relitto si sia ulteriormente degradato negli ultimi quattordici anni, in particolare nei pressi degli alloggi degli ufficiali sul lato di dritta della nave.
“La vasca da bagno del capitano è un’immagine preferita degli appassionati del Titanic, e ora non c’è più“, ha riferito lo storico Parks Stephenson. “Tutta la tuga da quel lato sta crollando, portando con sé le sale di rappresentanza. E quel deterioramento continuerà ad avanzare.“
Un disastro annunciato da Robert Ballard e dagli studiosi che avevano scoperto il batterio indigeno sulle strutture (che non a caso ne ha preso il nome). C’è poco da fare. La possente opera dell’Uomo scomparirà nei prossimi anni, cancellandone la presenza nei fondali atlantici.
Ma c’è una possibilità che la fine del relitto non sia quella di esser ridotto in polvere ferrosa bensì di esser sepolto. Nel 2012 una spedizione organizzata dalla National Geographic Society ha scoperto un imponente sistema di dune sabbiose che stanno muovendosi in direzione sud-ovest. Essendo più elevate del relitto potrebbero ricoprire nei prossimi trenta anni totalmente il relitto, creando un ambiente anaerobico, che preserverebbe lo scafo dalla corrosione batterica. In un modo o nell’altro il Titanic è destinato a scomparire per sempre, forse restando vivo solo nei ricordi di coloro che vi hanno perso i loro cari.